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di Sara Nicoli

E’ l’affondo finale di una battaglia sempre più di retroguardia e, per questo motivo, capace di radicalizzare lo scontro tra laici e cattolici ben oltre quelle fratture, mai ricomposte del tutto, già vissute sui referendum dell’aborto e del divorzio. La Chiesa ha sferrato l’attacco definitivo ai Dico dichiarandoli “inaccettabili” soprattutto per le coppie gay. Ma è sul fronte della politica che i vescovi hanno esercitato la pressione più robusta ribadendo con chiarezza il loro rifiuto della sovranità laica dello Stato. Quei politici cattolici che si trovassero a votare positivamente per i Dico saranno tacciati di incoerenza. Il loro voto in nome della laicità sarà considerato contro il magistero; nessuna vera scomunica, ma una bolla di inaffidabilità e di lontananza dai voleri del “partito di Dio” che certo peserà non poco sulle coscienze fragili dei parlamentari Teodem, ora ancor più legittimati a votare contro il progresso della società civile. La versione Bagnasco della nota sui Dico, voluta dal predecessore Ruini, rispecchia appieno i contenuti annunciati e piomba con grande forza nel dibattito politico con toni che, al di là dello stile, confermano l’intransigenza dei contenuti. Basta una frase a far capire il senso di un documento di sole tre pagine ma che ha il peso di un manifesto programmatico su come, d’ora in poi, la Chiesa ha intenzione di far sentire la propria voce nel dibattito parlamentare del paese: la legalizzazione delle unioni di fatto, si legge, e' ''inaccettabile sul piano di principio e pericolosa sul piano sociale ed educativo''.
''Grave'' sarebbe, per i vescovi, la legalizzazione delle coppie gay ''perche' in questo caso si negherebbe la differenza sessuale, che e' insuperabile'', mentre i diritti dei conviventi si possono tutelare nell'ambito del diritto privato. Riflettano su questo ''quanti hanno la responsabilita' di fare le leggi''.

Un diktat senza sconti, su cui, tuttavia, emerge anche l’ipocrisia cattolica di sempre soprattutto quando la Cei mette le mani avanti sulle possibili critiche di ingerenza. Ci viene infatti spiegato che se i presuli hanno sentito la necessità di dire una parola tanto impegnativa, non è stato certo perchè nuotino sottotraccia ''interessi politici da affermare'' in ambito Vaticano, bensì stia a cuore di Santa Romana Chiesa solo il bene comune: solo la famiglia ''aperta alla vita'' e' la vera cellula della societa' ed e' quindi interesse di questa e dello Stato ''che la famiglia sia solida e cresca nel modo piu' equilibrato possibile''.

Sarebbe da chiedersi, in modo un po’ qualunquista, quale tipo di lezione di “equilibrio” possa pervenire da chi, per scelta, ha rifiutato di costruirsi una famiglia votando a Dio la propria missione di vita. Ci limitiamo, invece, a sottolineare l’invadenza di queste parole nell’intimità familiare delle persone, dove di sicuro gli affetti contano molto di più di equilibri di genere e dove, senz’altro, se ci sono degli equilibri da difendere non lo si fa certo perché lo comanda qualcun altro vestito di porpora ma perché rispecchia i sentimenti più veri delle persone: la casa, insomma, la si costruisce con chi si ama, nei modi che meglio si crede di perseguire, non certo con chi ordina Sua Santità.

Ed è proprio partendo da questa base inconfutabile che non si può che respingere con forza quelle precisazioni contenute nel documento dei vescovi riguardo al ruolo dei cattolici in politica. E dove si afferma che, di fatto, il fedele cattolico non è un uomo libero. Le parole sono pietre e, in questo caso, pesano altrettanto. Il vero cristiano, si sostiene, e' tenuto a conformarsi al magistero e non puo' ''appellarsi al principio del pluralismo e della autonomia dei laici in politica, favorendo soluzioni che compromettano o che attenuino la salvaguardia delle esigenze etiche fondamentali del bene comune della societa'''. Quale bene comune? Davvero quello della società civile? Di sicuro no.

Non ci sarebbe altrimenti bisogno di chiamare alle armi i cristiani chiedendogli di farsi partito per contrastare questa cultura del relativismo che tanto terreno politico sta facendo perdere, a detta dello stesso Papa, alla Chiesa di Roma. Eppure, anche in questo caso, le parole sono chiare. I vescovi, in modo suadente, si dicono comprensivi per la ''fatica e le tensioni sperimentate'' dai politici cattolici ''in un contesto culturale come quello attuale'' in cui la visione ''autenticamente umana della persona e' contestata in modo radicale''. ''Ma – ed e' questa la chiave di lettura dell’intero documento - e' anche per questo che i cristiani sono chiamati a impegnarsi in politica''. Il documento dei vescovi non accenna ad alcun tipo di provvedimento per quei politici ''incoerenti''
con il magistero, punto delicatissimo per i cattolici italiani impegnati in politica, ma in questo caso le parole sono sufficientemente eloquenti. La condanna per l’azione politica in favore dei Dico e delle coppie gay è espressa con rara durezza: a suffragio di questo pensiero oscurantista si citano documenti vincolanti per i cattolici come una esortazione papale e una nota della Congregazione per la dottrina della fede. Ma, soprattutto, si fanno scudo della Costituzione Repubblicana, quasi a voler fornire una sponda a chi, parlamentare perplesso dalla dottrina e tentato dalla difesa della laicità dello Stato, si convincesse che sono davvero altri i valori da difendere votando per qualcosa di contrario al volere del “partito di Dio”.

La capillarità dell’offensiva è stata studiata nel dettaglio, anche sul fronte della comunicazione. Non è infatti un caso se il documento è stato e' stato pubblicato il giorno in cui le organizzazioni cattoliche lanciavano ufficialmente il Family Day, (designando tra i portavoce della iniziativa Savino Pezzotta) che, a questo punto, assume le sembianze di una vera e propria iniziativa antigovernativa, benché spacciata con la solita ipocrisia cattolica, come una manifestazione in difesa della famiglia.

Nella storia della Cei non mancano precedenti al questo documento. E ci sono stati vari tipi di testi, da note di presidenza o di assemblea o di commissioni episcopali, a note pastorali sui temi piu' vari. Nel '69 c' era stata una nota sul divorzio, nel '77 un comunicato sulla responsabilita' dei cattolici in politica e sulla adesione dei cattolici alla ideologia marxista, nell'85 una sull'aborto, l'eutanasia e la cultura di morte. In tutte queste situazioni la Chiesa fatta partito ha perduto le sue battaglie politiche. Speriamo che la tradizione venga confermata.